Nano-reef – un Berlinese piccolo piccolo
Infrangere le regole, talvolta, può portare a risultati davvero formidabili. Prendiamo, per esempio, la regola d’oro secondo la quale un acquario marino, per funzionare a dovere, dev’essere il più grande possibile. E’ senza dubbio una “legge” valida e va rispettata.
Ma un appassionato che vanta una buona esperienza e che ama osservare la vita di specie di taglia minuta, può cimentarsi nella sfida opposta, la sfida della vasca più piccola possibile: il nano-reef.
Possiamo definire una vasca nano-reef il “riassunto” di un acquario di barriera: seppur in miniatura, il nano-reef adotta in dimensioni ridotte tutte le soluzioni tecniche che caratterizzano questa “filosofia”.
Ricordiamo dunque quali sono le cinque regole d’oro sulle quali si basa l’acquario Berlinese:
- Una cospicua quantità di rocce vive;
- L’uso dello schiumatoio;
- Una fortissima illuminazione con lampade HQI;
- Un vigoroso movimento dell’acqua;
- La costante integrazione di Calcio.
Nano-reef – la sfida della stabilità
Chi si occupa d’acquario marino sa che una delle regole per il successo è data dalle dimensioni: più grande è la vasca, più facile sarà la gestione. Perché? La risposta è semplice eppure non banale.
Facciamo un rapido passo indietro. E poniamoci un’altra domanda: perché i pesci marini tropicali – in generale – sono molto più delicati delle specie d’acqua dolce e temperata? L’Oceano è un habitat dalle condizioni chimico-fisiche estremamente stabili. Questa “immobilità” è dovuta alle dimensioni della sua massa: è costituita da circa 1.370 milioni di chilometri cubi d’acqua.
Un volume del genere “assorbe” molto lentamente eventuali variazioni chimiche o fisiche dovute ad eventi climatici come un cambio di stagione oppure ad eventi atmosferici come un improvviso temporale. Negli Oceani, dunque, pesci e invertebrati non hanno avuto l’esigenza di sviluppare meccanismi di adattamento per superare sbalzi di questo genere senza riportare danni.
Viceversa, in un ambiente dove la massa d’acqua è infinitamente più piccola (pensiamo ad un fiume, ad un lago oppure allo stesso Mare Mediterraneo dove il volume è di “appena” 4 milioni di chilometri cubi d’acqua) le variazioni sono molto più brusche ed incidono sull’intero ecosistema.
Immaginiamo, ad esempio, un violento acquazzone e pensiamo che diverso impatto esso può avere quando si abbatte sull’Oceano e quando, viceversa, sfoga su un piccolo laghetto. Sul reef l’impatto in termini di variazioni di temperatura, salinità ed altri valori chimico-fisici è pressoché nullo; in uno stagno, invece, il nubifragio incide repentinamente sull’ambiente: gli esseri viventi che lo popolano devono dunque essere sensibilmente più robusti dei “cugini” oceanici.
Ma torniamo al nostro nano-reef, calando nell’ambiente acquario il discorso della stabilità. Se una vasca da 300-400 litri (o più) funziona come un piccolo oceano, è cioé in grado d'”ammortizzare” eventuali sbalzi (dovuti a interventi esterni oppure anche ad errori dell’acquariofilo), è chiaro che una vasca più piccola, in questo senso, è molto più sensibile: un qualsiasi intervento va ad incidere sull’intero ecosistema rischiando di sbilanciarlo. E gli ospiti non saranno certo in grado di adattarsi alle nuove condizioni senza riportarne conseguenze.
La difficoltà del nano-reef è tutta qui.
Ciò comunque non significa che allevare pesci e invertebrati tropicali in 40-50 litri d’acqua sia un’impresa impossibile. Diciamo che, nel caso del nano-reef, l’acquariofilo deve essere un bravo equilibrista in grado di mantenere stabili le condizioni in vasca; deve essere capace di cogliere al volo l’insorgere di problemi; deve essere abile nell’intervenire senza spezzare il sottile equilibrio che governa questo piccolo, delicato ecosistema artificiale.
Ciò che conta è “pensare” una vasca adeguata, cioé allestire un piccolo impianto dove si possano riprodurre in miniatura le condizioni dell’acquario di barriera e, soprattutto, scegliere le specie di pesci e invertebrati più adatte a questo tipo di micro-ecosistema.
Nano-reef – la vasca
Il volume della vasca può partire da un minimo di 30 litri netti.
Al di sotto di queste dimensioni difficilmente un acquario può ospitare qualcosa oltre una roccia viva e un paio di gamberetti. Viceversa, a partire dagli 80-90 litri in su, cominciamo ad avvicinarci alla categoria degli acquari “tradizionali”.
Come nel caso dell’acquario di barriera di grande volume, anche per il nano-reef sono senza dubbio da preferire vasche aperte. In caso diverso, l’utilizzo delle lampade HQI diventa impossibile per la temperatura sviluppata. Quanto alla forma, sono da evitare nel modo più assoluto le vasche strette e alte. Ideali sono la forma cubica e a parallelepipedo: permettono di posizionare lungo una parete gli accessori oppure – meglio ancora – di ricavare uno scomparto nel quale occultare riscaldatore, schiumatoio etc. Qui, coloro che se la cavano bene con il fai-da-te hanno indubbiamente una marcia in più.
Nano-reef – il sump
Nell’acquario di dimensioni normali, il sump (cioé la vaschetta posta sotto la vasca principale nella quale inserire tutti gli accessori per il filtraggio) è irrinunciabile. Nel nano-reef potrebbe essere di qualche utilità ma è più probabile che finisca solo per complicare l’architettura dell’intero sistema. Questo soprattutto nei nano-reef estremi con volume cioé di 30-40 litri.
E poi diciamolo: montare il sump sotto un nano-reef è un po’ barare. L’eccezionalità del nano-reef sta proprio nel far funzionare l’ecosistema in una manciata di litri d’acqua.
Se colleghiamo l’acquario di 40 litri ad un impianto di filtraggio da 100, di certo avremmo molti meno scogli da affrontare ma difficilmente potremmo definire, questo, un nano-reef.
Nano-reef – lo schiumatoio
Come nell’acquario di barriera classico, anche nel caso del nano-reef lo schiumatoio è un accessorio di fondamentale importanza.
Il problema è trovare un modello molto piccolo ma allo stesso tempo di efficienza adeguata. Il mercato ormai offre numerose soluzioni anche se i modelli di dimensioni più contenute solitamente funzionano attraverso il sistema poco efficiente della pietra porosa alimentata da un aeratore.Ma nel nostro caso potrebbe essere sufficiente un modello di questo tipo indicato al massimo per un volume pari a una decina di volte la capienza netta della vasca. Costruire da soli uno schiumatoio a pietra porosa, del resto, è abbastanza semplice. In commercio, poi, esistono modelli da appendere sul lato della vasca alimentati da una pompa.
L’importante è non sceglierne uno sovradimensionato.
Nano-reef – il filtro rapido
In un nano-reef, il filtro rapido a spugna non è indispensabile ma si rivela molto utile soprattutto quando …. non viene usato come filtro rapido. Serve a poco farlo girare 24 ore su 24 caricato con la spugna in dotazione per intercettare le particelle in sospensione.
In questo modo si intasa in fretta e, alla lunga, rischia solo di trasformarsi in un filtro biologico. Piuttosto lo trovo molto utile come accessorio da caricare di tanto in tanto con carbone attivo. In commercio esistono un’infinità di modelli di filtro rapido.
Naturalmente sceglieremo un tipo di dimensioni estremamente ridotte e di potenza pari o di poco superiore al volume della vasca.
Occorre ovviamente accertarsi che al posto della materiale filtrante in dotazione sia possibile inserire del carbone attivo. Non è necessario averlo sempre in funzione, anzi. Basta farlo girare per 8-10 giorni una volta al mese.
Nano-reef – l’illuminazione
E’ meglio indirizzarsi sulle lampade HQI dai 70 watt in su con una temperatura di luce non inferiore ai 10.000° Kelvin.
Il problema è trovare la plafoniera adatta. Se vogliamo risparmiare qualcosa, invece delle plafoniere per acquariofilia, visitiamo un negozio di elettrotecnica molto fornito. Attenzione però a non confondere le plafoniere adatte a bulbi HQI con quelle – molto più comuni – adatte a semplici lampade alogene. I proiettori per le HQI si differenziano dagli altri perché dotati di trasformatore e circuito per l’accensione, di solito alloggiati in una voluminosa scatola agganciata al telaio del proiettore. In commercio si trovano proiettori che permettono di staccare la scatola così da poterla occultare nel mobile di supporto alla vasca. Anche in questo caso, l’abilità nel fai-da-te è preziosa. Al proiettore HQI, naturalmente, va affiancata una piccola lampada al neon attinica, larga quanto la vasca.
Quanto alla potenza, non è il caso di lesinare: molto indicativamente, calcolerei un wattaggio complessivo pari al doppio della capienza della vasca espressa in litri.
La lampada HQI deve rimanere in funzione 8-9 ore al giorno, il tubo al neon va acceso mezz’ora prima e spento mezz’ora dopo l’HQI. Un timer può essere un accessorio molto utile per controllare le luci.
Nano-reef – il movimento dell’acqua
La regola Berlinese raccomanda di dotare l’impianto di pompe con una potenza complessiva pari a venti volte la capacità della vasca. Nel caso del nano-reef è sciocco affidarsi ciecamente ai numeri.
Quello che conta è il risultato: in ogni angolo dell’acquario ci deve essere un buon movimento, senza che il flusso arrivi ad alzare la sottile sabbia del fondo. L’Ossigeno deve essere in saturazione e tutti gli invertebrati sessili devono godere di un buon flusso sui loro tessuti.
Per raggiungere lo scopo basta una sola pompa di potenza medio-bassa (6-700 litri/ora) oppure due più piccole sistemate ai lati opposti,magari azionate in alternanza attraverso un timer.
Attenzione a scegliere pompe il cui ingresso sia protetto da una griglia con fessure sottili, per evitare che piccoli pesci possano finire risucchiati. Attenzione, ancora, a posizionare le pompe in modo tale che gli interventi di manutenzione risultino agevoli: infilare le mani in un nano-reef è sempre un’operazione delicata.
Nano-reef – la temperatura
D’inverno non ci sono problemi: un piccolo riscaldatore a provetta fa al caso nostro. La potenza va calcolata considerando un watt per ogni litro. D’estate, invece, potrebbero insorgere dei guai nel caso la temperatura dell’acqua dovesse salire oltre i 29-30 gradi. In questo caso, purtroppo, non abbiamo molte soluzioni. Un intervento definitivo è l’acquisto di un piccolo refrigeratore: in commercio esiste un modello molto piccolo di climatizzatore adatto a vasche da 80 a 120 litri. Oppure dobbiamo ricorrere a soluzioni empiriche. Per esempio diminuendo in modo drastico le ore di luce. Oppure sistemando un ventilatore sulla vasca in modo che il “soffio” sia parallelo al pelo dell’acqua. In extremis, se la vasca è davvero piccola, si può spostarla in un locale più fresco.
Nano-reef – l’integrazione di Calcio
Tasto dolente. L’integrazione del Calcio in un acquario marino è un aspetto fondamentale. Ma se in una vasca di dimensioni normali possiamo installare un reattore di Calcio o utilizzare la Kalkwasser, in un nano-reef tutto ciò risulta molto difficile.
E’ arduo trovare in commercio reattori di Calcio di dimensioni abbastanza ridotte da consentire l’uso in una mini vasca. La Kalkwasser – seppur somministrata goccia a goccia – in pochi litri d’acqua provoca una repentina e pericolosa impennata del pH. Una soluzione potrebbe essere l’acquisto di una pompa dosatrice ma questa spesa si rivela eccessiva rispetto alle esigenze dell’acquario. E allora? Allora per mantenere Calcio e dKH a valori accettabili bisogna intervenire molto di frequente con dosi contenute di integratori in polvere ed altri prodotti buffers, molto facili da trovare nei negozi. In questo caso, è opportuno scegliere prodotti, magari un po’ più costosi degli altri, ma di marche affidabili. Una valida alternativa, per chi ha anche una vasca più grande e dotata di reattore di Calcio, è di aumentare la frequenza dei cambi d’acqua utilizzando l’acqua di quest’ultima.
Nano-reef – il rabbocco automatico
Abbiamo spiegato l’importanza di mantenere stabili le condizioni chimico-fisiche dell’acqua in vasca. Tra queste c’è la densità. Se – come sarebbe auspicabile – adottiamo una vasca aperta, ogni giorno una piccola percentuale d’acqua (tra lo 0.5 e l’1 per cento) evapora, aumentando la densità dell’acqua rimasta nell’acquario.
E’ opportuno dotare l’impianto di un sistema di rabbocco automatico caricato con acqua d’osmosi. Gli osmoregolatori (cioé gli impianti di rabbocco automatico) che si trovano in commercio sono studiati per vasche di dimensioni normali. In un nano-reef di 40-50 litri possono risultare troppo voluminosi. Anche in questo caso, l’ideale è ricorrere al fai-da-te. E’ sufficiente acquistare un interruttore galleggiante, un contenitore da 10-15 lt (per l’acqua d’osmosi), una piccola pompa, del cavo elettrico, una spina e una presa. I collegamenti sono semplicissimi. Su Internet si possono trovare numerosi schemi per l’autocostruzione. Da notare che se l’interruttore galleggiante viene posizionato direttamente in vasca e non in uno scomparto filtro o nel sump, va protetto con una griglia dai piccoli invertebrati che vi si possono insediare pregiudicandone il funzionamento.
Nano-reef – le rocce vive
In un nano-reef ce ne stanno davvero poche. Quindi devono essere di qualità eccellente, sia per la conformazione delle pietre che per la microflora e la microfauna che ospitano. Il tipo indonesiano (ex Corallo blu) fa indubbiamente al caso nostro. L’ideale sarebbe prelevare rocce vive da una vasca avviata da anni. La regola dell’acquario di barriera imporrebbe un rapporto di 1 kg di rocce vive ogni 5 litri d’acqua. Nel caso del nano-reef, visto il poco spazio disponibile, è opportuno non eccedere in quantità. E’ preferibile ammassare al centro della parete di fondo un piccolo gruppo di rocce vive di pezzatura medio-piccola. L’importante è che questo cumulo rimanga staccato di almeno 7-8 cm dalle pareti laterali in modo da poter pulire i vetri all’interno della vasca senza dover toccare l’arredamento.
Nano-reef – il fondo
Abbiamo visto che, quanto a rocce vive, è difficile rispettare fedelmente la regola Berlinese. Dove possiamo allora recuperare un substrato adatto allo sviluppo dei processi riducenti? Nel materiale di fondo. Uno strato di 5-6 cm di sabbia corallina mista ad Aragonite di pezzatura molto sottile (0.5 – 1 mm) funziona benissimo. Il fondo va inserito nella vasca solo dopo che sono state posizionate le rocce vive. Magari aspettando qualche giorno. Ovviamente un fondo di questo genere va smosso il meno possibile e non va mai sifonato per permettere l’insediamento di colonie batteriche che si occupano di ridurre i Nitrati in Nitriti e quindi di scindere definitivamente il legame tra Azoto e Ossigeno. Se dopo alcune settimane, osservando attraverso i vetri lo strato di sabbia, vedremo al suo interno delle bollicine di gas, significa che il fondo sta lavorando come filtro riducente.
Nano-reef – i valori dell’acqua
I valori ottimali di un nano-reef ricalcano fedelmente quelli di un normale acquario di barriera. Ricordiamoli:
Valore | Minimo | Massimo |
---|---|---|
Temperatura | 24° | 26° |
Densità | 1.022 | 1.024 |
pH | 8.00 | 8.30 |
Ammoniaca | Assente | |
Fosfati | Assenti | 0,05 mg/l |
Nitriti | Assenti | |
Nitrati | Assenti | 5 mg/l |
dKH | 8 | 10 |
Calcio | 410 mg/l | 430 mg/l |
Ossigeno | In saturazione |
Nano-reef – la maturazione
Impossibile indicare dei tempi precisi. Dall’inserimento delle rocce vive all’introduzione dei primi animali possono passare da uno a tre mesi. Se utilizziamo rocce vive provenienti da una vasca già matura, i tempi possono ridursi significativamente. Sarebbe molto importante avviare l’acquario utilizzando il 50 per cento o più di acqua prelevata da un’altra vasca ben “rodata”. In questo modo, ad esempio, saltiamo lo stadio della fioritura delle Diatomee.
Una volta riempita la vasca d’acqua e rocce vive, è inutile aspettare la maturazione seguendo la scadenza sul calendario, è meglio dotarsi di pazienza ed ogni 5 giorni effettuare delle accurate analisi dell’acqua. Ecco le spie che ci indicano che un acquario ormai ha concluso la fase di rodaggio:
- I Nitrati sono scesi sotto i 5 mg/l e continuano a scendere
- I Fosfati sono scesi a zero
- Sono sparite eventuali tracce di alghe filamentose o patinose (la comparsa di queste ultime è pressoché
- scontata se si fa uso di Aragonite)
- Il pH si è stabilizzato su valori tra 8.0 e 8.30 con un’oscillazione giornaliera non superiore a 0.10 – 0.20
- Le alghe calcaree proliferano
- Le alghe superiori crescono senza problemi.
Questi segnali ci dicono che la vasca è pronta per accogliere i primi ospiti. Attenzione però che la maturazione effettiva avviene nell’arco di un anno o più. In questo lasso di tempo è meglio procedere con gradualità nell’inserire pesci e invertebrati.
Nano-reef – gli ospiti
Siamo al punto più delicato della nostra sfida: popolare la vasca con organismi adatti. E’ buona norma rispettare le fasi dell’evoluzione naturale: prima appaiono le alghe, poi gli invertebrati ed infine i pesci.
Nano-reef – le alghe
Parliamo di alghe superiori. La più comune è la Caulerpa della quale esistono numerose specie (C. prolifera, C. racemosa, C. sertularoides, C. taxifolia ed altre). La presenza della Caulerpa va comunque tenuta sotto controllo. Il piccolo “giardino” va potato spesso perché l’alga non diventi infestante. Ciò infatti ci espone a tre rischi. Il primo è che la Caulerpa soffochi gli altri invertebrati. Il secondo è un improvviso “sbiancamento” delle alghe che in pochi istanti trasformerà l’acqua della vasca in una orribile sorta di the dal colore verde. Infine, il terzo, il pericolo più insidioso si chiama Caulerpina: si tratta di una tossina contenuta nell’alga che viene liberata ogni qualvolta ne recidiamo un ramo.
Oltre alla Caulerpa ci sono altre alghe ottime per un nano-reef. Per esempio Halimeda sp. (un’alga calcarea dalle foglie tonde), Sargassum sp., Galaxaura sp. e Halymenia sp. (un’alga rossa che spesso “sboccia” spontanea dalle rocce vive). Se le rocce vive sono di buona qualità si svilupperanno anche le caratteristiche alghe calcaree rosse incrostanti: Mesophyllum sp. e Peyssonnelia sp.
Nano-reef – gli invertebrati
Gli invertebrati vanno scelti sia in base alla taglia che alle particolari esigenze di ciascuna specie. Nessun Genere, a priori, è da scartare per un nano-reef, nemmeno i più esigenti appartenenti all’Ordine Scleractinia. Piuttosto, nel caso dei coralli duri, il problema è riuscire a trovare esemplari di taglia “mignon” nei negozi.
Ma andiamo con ordine. La regola d’oro è – come del resto nell’acquario di barriera – puntare sulla biodiversità, cioé inserire quante più specie possibili, evitando ovviamente quelle tra loro incompatibili.
Visto il poco spazio a disposizione è preferibile puntare su Famiglie che vivono e si riproducono in colonie come ad esempio gli invertebrati dell’Ordine Stolonifera. Facciamo degli esempi: Famiglia Cornulariidae e Clavulariidae (Cornularia sp. e Clavularia sp.); Famiglia Zoanthidae (Zoanthus sp.; Parazoantus sp.; Palythoa sp.); Famiglia Discosomatidae (Actinodiscus sp., Rhodactis sp.).
Eviterei la Famiglia Xeniidae in quanto questi invertebrati non vanno d’accordo con il carbone attivo e probabilmente hanno bisogno di un’acqua più ricca di nutrienti di quanto non sia quella del nostro nano-reef.
La presenza di più colonie di specie diverse, all’inizio, scatenerà una competizione spietata per la conquista degli spazi vitali.
Ma dopo qualche mese, quando ciascuna colonia avrà “negoziato” con le vicine i propri confini, la vasca avrà un aspetto straordinariamente naturale e rigoglioso.
Un nano-reef può ospitare anche esemplari della Famiglia Alcyoniidae (come Sinularia sp. e Sarcophytum sp.), sempre che si scelgano “pezzi” di dimensioni molto ridotte.
Nessun problema nemmeno per gli spirografi (per esempio Sabellastarte indica), basta che il substrato sia alto e di sabbia sottile. Quando la vasca sarà ben rodata, potremo inserire persino qualche frammento di corallo duro a polipi piccoli. Qui la scelta è abbastanza ampia. Vanno bene le specie più comuni di Acropora (per esempio A. humils, A. formosa, A. selago). La soluzione migliore è staccare qualche talea da una formazione già cresciuta nella vasca di un amico e fissarla su una roccia in posizione esposta alla luce e alla corrente. Di solito, questi frammenti hanno tempi di acclimatazione piuttosto lunghi (settimane o – persino – mesi) ma se le condizioni in vasca sono buone, all’improvviso questa talea comincia a crescere mostrando le caratteristiche punte bianche sui rami. Oltre alle Acropora, sono ospiti ideali anche i coralli a polipi piccoli della Famiglia Poritidae.
Più difficile inserire coralli duri a polipi grandi (Famiglie Fungidae e Mussidae, per esempio) in quanto è praticamente impossibile, nei negozi, trovare esemplari sotto i 4-5 cm di diametro.
Con un po’ di fortuna, invece, prima o poi ci si può imbattere in esemplari di Tridacna sp. di 3-4 cm: un’ospite ideale per il nano-reef.
Da tenere presente, però, che le Tridacne, in condizioni ottimali, «divorano» molto Calcio e crescono con strabiliante rapidità. Nel giro di uno o due anni dovranno essere tolte dal nano-reef per essere trasferite in una vasca di dimensioni più consone. La specie più adatta è senza dubbio T. crocea: è la più piccola e colorata, inoltre vive in acque superficiali ed è tra le più robuste.
Da evitare nel modo più assoluto, invece, qualsiasi specie di anemoni: se sono a disagio vagano per la vasca rovesciando rocce e invertebrati. Inoltre i loro tentacoli disperdono in continuazione nematocisti, le cellule urticanti che tengono alla larga i nemici. In un ambiente angusto, la loro presenza disturba (spesso ustiona) gli altri ospiti.
Per la stessa ragione, anche eventuali colonie di Discosomatidae vanno circoscritte a pochissimi esemplari. Ottima, invece, la presenza di organismi detrivori tipo i paguri dalle zampe blu (Calcinus elegans) o le ofiure (Ophiarachna incrassata) purché di piccola taglia.
Qualche perplessità invece sull’inserimento di minuscole stelle marine rosse (Fromia sp.) molto appariscenti ma esigenti in fatto di alimentazione: questi echinodermi possono prosperare solo in una vasca grande e matura.
Bene i gamberetti come Lysmata debelius, Lysmata amboinensis e Stenopus hispidus. Attenzione solo alle incompatibilità tra specie differenti e persino tra esemplari della stessa specie: l’ambiente angusto scatena una forte aggressività. Un Lysmata debelius che non gradisce l’inserimento di un secondo esemplare, nel giro di pochi istanti lo può uccidere oppure, «sforbiciandolo» con le chele, lo può ridurre ad un tronco privo di zampe e antenne.
Per finire, possiamo inserire nel nostro nano-reef due o tre chiocciole divoratrici d’alghe come, per esempio, Astraea sp.
Nano-reef – i pesci
E veniamo ai pesci. La scelta non è molto ampia ma tutt’altro che povera. Ovviamente, qui, a dettare legge sono la taglia e, in subordine, le esigenze territoriali. Attenzione anche alla competizione alimentare tra specie diverse.
E’ importantissimo, inoltre non esagerare con il numero di esemplari. E’ impossibile dettare regole matematiche perché la popolazione “limite” dipende da troppi fattori. Indicativamente: in vasche tra i 30 e i 40 litri una popolazione ragionevole può essere di 2 o 3 esemplari di taglia tra i 4 e i 5 cm. Tra i 40 e i 60 litri saliamo a 3-4 esemplari; tra i 60 e gli 80 litri arriviamo a 4-5 pesci.
Parliamo di specie. Vanno benissimo un po’ tutti i pesci della Famiglia Gobiidae. Particolarmente adatto è quel piccolo gioiello vivente che è Gobiodon okinawae: un pesce tranquillissimo e dalle modeste esigenze territoriali. La taglia non supera i 2,5cm e l’ideale sarebbe introdurre in vasca una coppia. L’unica controindicazione per questa specie è che rischia di infastidire (o danneggiare) colonie di coralli duri a polipi piccoli dei quali, saltuariamente, si ciba.
Un altro bel gobide è Gobiodon citrinus, di taglia più grande (6-7 cm) ma sempre adatto a un nano-reef.
Anche il Genere Pseudocromis offre specie adatte: P. paccagnellae e P. fridmani, ad esempio. Quest’ultimo tende a rimanere nascosto: è timido e non ama una forte illuminazione. Ma la sua livrea ha un colore entusiasmante.
Tra i piccoli pesci, da evitare il Genere Synchiropus: si nutre in continuazione di microrganismi presenti sul fondo e tra le rocce. In un nano-reef avrebbe gravi difficoltà a trovare cibo.
Un nano-reef particolare può essere dedicato esclusivamente alla coppia simbionte costituita da un gobide (Cryptocentrus cryptocentrus) e da un gamberetto pistola (Alpheus sp.). I due, in natura, abitano una tana comune e fanno coppia fissa stando sempre all’erta davanti all’ingresso.
Ospiti tranquilli sono anche alcuni blennidi (ottimi divoratori d’alghe infestanti, tra l’altro). Ricordiamo Salarias fasciatus e il più appariscente Ecsenus bicolor. Anche la Famiglia Eleotridae ci offre qualche possibilità con Nemateleotris magnificus e con l’ancor più bello N. decora, due specie i cui esemplari prediligono la vita in coppia. Infine possiamo chiudere l’elenco dei pesci più adatti per il nostro piccolo acquario con il tranquillo e robusto Pterapogon kauderni.
Nano-reef – la manutenzione
Fortunati i possessori di nano-reef che hanno in salotto anche un normale acquario di barriera maturo e rodato. Avranno costantemente a disposizione una riserva d’acqua stagionata per i cambi, frammenti di invertebrati da trapiantare nella mini vasca ed, infine, un ambiente adatto ad ospitare pesci o invertebrati cresciuti oltre la taglia consentita in un nano-reef. Insomma, la vasca grande è un bel “paracadute” in caso di difficoltà con l’altra. Chi non ha questa fortuna dovrà rassegnarsi a prestare molta più attenzione alla gestione del nano-reef.
Gli interventi devono ridursi al minimo indispensabile: immergere le mani è sempre un piccolo trauma per un ecosistema così esile. Quanto alle operazioni giornaliere, bastano un paio di somministrazioni di cibo ai pesci. E, più che mai in un nano-reef, è importante somministrare solo la quantità di cibo che viene consumata. Meglio cibo vivo o preparati in fiocchi che cibo surgelato.
Se l’impianto non è dotato di sistema di rabbocco automatico dell’acqua evaporata, per evitare sbalzi di salinità, questa va aggiunta ogni giorno fino a ripristinare il livello desiderato. Il bicchiere dello schiumatoio va svuotato e sciacquato in acqua tiepida ogni 2-3 giorni.
Molto importante tenere sotto controllo Calcio e dKH.
Soprattutto nel caso si allevino coralli duri e Tridacne. Anche la concentrazione di Nitrati è una buona spia dello stato di salute della vasca.
Se si ha a disposizione un secondo acquario di dimensioni normali, piuttosto di utilizzare i prodotti in commercio per reintegrare gli oligoelementi nel nano-reef (in pochi litri d’acqua è sempre difficile centrare il dosaggio), è consigliabile puntare sui cambi d’acqua.
Devono essere sempre molto “prudenti”: dell’ordine, cioé, di un 10 per cento ogni 10-15 giorni. Anche in caso d’emergenza, infine, sono da evitare nel modo più assoluto cambi consistenti (cioé di oltre il 20-30 per cento) con acqua marina appena preparata.
Quando, con il passare dei mesi, ci renderemo conto che i cambi d’acqua si rendono sempre meno necessari, vorrà dire che avremo vinto la sfida: saremo riusciti a riprodurre in pochi litri d’acqua un ecosistema equilibrato e funzionante. In altre parole avremo ricostruito in salotto un frammento di barriera corallina.