Chaetodon trifasciatus - la lezione di Lalla

Lalla nel suo acquario – Aprile 2000

Un pomeriggio di settembre del 1998, in un negozio della mia città, ho visto un Chaetodon trifasciatus. Mi sono subito reso conto che quell’esemplare non avrebbe avuto possibilità di vivere a lungo in quelle condizioni: la vaschetta trattata con medicinali era un ambiente assolutamente ostile per una specie così delicata.

Un po’ contrariato, ho chiesto spiegazioni al titolare del negozio e gli ho fatto presente che quel pesce non doveva essere tenuto in quelle condizioni. Il negoziante è rimasto stupito. Pensava che Chaetodon trifasciatus fosse un pesce pari a tanti altri, senza particolari esigenze. Poi mi ha spiegato che gli era stato ordinato da un cliente il quale, tra l’altro, era incerto se acquistare il Chaetodon trifasciatus oppure un esemplare di Siganus vulpinus.

In quel periodo avevo sperimentato varie tecniche di cura sui pesci marini ed ero abbastanza certo, visti i buoni risultati, di riuscire a curare con successo quasi tutte le patologie. Per questo ho pensato di chiedergli di venderlo a me. Ma ero indeciso perché pensavo che acquistando quell’esemplare avrei comunque contribuito ad aumentare l’importazione di specie che, per le loro particolarissime esigenze, al giorno d’oggi non possono essere allevate in acquario.

Ho lasciato il negozio un po’ sconsolato e sono tornato a casa. Ma non riuscivo a rassegnarmi al pensiero di quel pesce sofferente e dallo sguardo triste.

Lo stesso giorno anche un mio amico è passato da quello stesso negozio e ha visto il Chaetodon trifasciatus. Anche lui ha consigliato al negoziante di vendere al cliente il Siganus vulpinus (sicuramente una specie che meglio si adatta alla vita in cattività) e di affidare il Chaetodon trifasciatus a delle persone in grado di dargli qualche possibilità di sopravvivenza. Così è stato. Ma sono convinto che la scelta del negoziante è stata dettata più che altro dal timore che, in caso di morte del delicato pesce, il cliente gli potesse creare dei problemi. La cosa positiva che mi preme rilevare è che in quel negozio non ho più visto Chaetodon trifasciatus o altri pesci “impossibili”.

Chaetodon trifasciatus – la storia in cattività

“Lalla”, così lo abbiamo battezzato, è arrivato nella mia vasca di quarantena in pessime condizioni. Non mangiava, presentava un principio di Cryptocaryon irritans, continuava a scuotere la testa e aveva in atto una preoccupante occlusione intestinale.

Grazie alle conoscenze che avevo acquisito, ho trattato queste patologie senza problemi e nel giro di due settimane sono riuscito a portarlo in discrete condizioni di salute.

In natura questi pesci si nutrono esclusivamente di polipi d’Acropora e di qualche minuscolo crostaceo. La conformazione particolare della bocca e dell’apparato digerente consente loro di ingerire solo pezzi piccolissimi di cibo. Non tutti i Chaetodontidae presentano questi problemi: solo quelli con il tipo di bocca come quella del Chaetodon trifasciatus.

In acquario sono riuscito ad alimentarlo con minuscoli frammenti di Platessa fresca, mescolati con fiocchi e arricchiti con vitamine. Non mi pesava il fatto di dedicargli un’ora al giorno e di trascorrere quel tempo ad imboccarlo.

Dopo un mese il pesce ha cominciato ad accettare anche dell’Artemia, sia surgelata sia essiccata. In seguito è stato introdotto in una vasca studiata appositamente per lui e anche i suoi compagni sono stati selezionati in base alle sue esigenze.

Purtroppo non sono mai riuscito a debellare definitivamente Cryptocaryon irritans e ogni sei mesi dovevo sottoporlo ad una leggera cura di Rame.

Nella vasca di quarantena, il Chaetodon trifasciatus smetteva immediatamente di mangiare: queste specie richiedono acqua pulitissima, priva di metalli pesanti e non trattata con medicinali.

Nella vasca ho sistemato vari tipi d’Actinodiscus, pensando che non fossero di suo gradimento. Errore: in cattività questi pesci si adattano a mangiare di tutto e vanno a pizzicare in continuazione ogni tipo d’invertebrato, perfino quelli urticanti.

Questo comportamento non gli deve essere stato salutare e penso che a lungo andare sia stata la causa della sua morte, unita all’impossibilità da parte mia di garantirgli una dieta corretta.

Varie volte sono riuscito a guarirlo da infezioni intestinali. Ma l’ultima volta che si è ammalato, era l’aprile del 2002, ho capito subito che si trattava di una cosa grave.

Nel giro di quattro giorni si è incavato nella parte superiore del capo: tutte le mie cure sembravano vane. Poi, invece, nei giorni seguenti, ha ripreso a mangiare e pensavo che anche questa volta ce l’avesse fatta.

Purtroppo, invece, il 5 maggio 2002, è morto all’improvviso.

Ha vissuto in acquario quasi quattro anni, un periodo comunque troppo breve per una vita in cattività. Questa è la mia esperienza con Chaetodon trifasciatus. Sono convinto che altri appassionati non siano riusciti a far sopravvivere a lungo in acquario questo tipo di pesce.

Spero dunque che la triste “lezione” di Lalla faccia capire le complesse esigenze di molti Chaetodontidae, e faccia riflettere chi s’imbatte in un pesce di questa specie in un negozio d’acquari ed ha intenzione di acquistarlo.

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INFO ARTICOLO:

 

Claudio Rebonato  

 

 ( 04 luglio 2002 )  

 

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